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venerdì 17 agosto 2012

Murales: trovate e usate la testa!

Camminare nelle vie delle nostre città ci offre spunti d'arte a ogni angolo. Precisamente su ogni muro. Basta avere l'occhio vigile e si notano queste espressioni artistiche, o presunte tali. Stiamo parlando dei murales. Alcuni sono davvero irritanti. Ma in alcune vie, laddove il comune lascia il permesso di "imbrattare" il muro a proprio piacimento, vengono create delle vere e proprie opere d'arte. Graffiti che ritraggono i temi attuali delle generazioni che li realizzano, come la musica, la droga, la ribellione, la lotta alle autorità e così via. Spesso l'oggetto di questi dipinti sono i personaggi che hanno segnato un'epoca, passando da Bob Marley a De André, da Che Guevara al celebre bacio tra Honecker e Brezenev. A volte vengono rappresentate icone dei cartoni animati, vedi Goku di Dragon Ball. Su altri muri non vengono disegnate figure, ma espressioni astratte ispirate dal cuore e dalla mente creativa degli artisti di strada. Certo, quando si vedono semplicemente le firme di questi writer, il sangue ribolle dalla rabbia. Specie se queste vengono impresse sulle mura degli edifici privati. Oppure se vengono segnati alcuni palazzi storici delle nostre città. Per non parlare dei monumenti e delle statue nelle piazze italiane.
Insomma, questi writer attirano più critiche che elogi. Certo, vedere degli scarabocchi sotto casa, magari a due giorni dai lavori di ristrutturazione dell'edificio non è proprio il massimo. Ma l'arte è un fiume in piena, non può essere arginata e va espressa quando il cuore e l'ispirazione prendono il sopravvento sulla ragione. A quel punto, si prendono gli attrezzi del mestiere e si inizia a creare. O a scrivere cagate, dipende dai punti di vista.

Ci sono delle condizioni. Se si vuole condividere pensieri o, per i più spavaldi, aforismi è necessaria la precisione, altrimenti si perde il significato originale. E se non si conosce il messaggio nascosto dietro a certe frasi, bisogna impegnarsi a non fare errori grammaticali. I cosiddetti "strafalcioni". In verità sono molto divertenti, ma allo stesso tempo molto deprimenti. Uno di questi casi è quello illustrato nella foto. L'anonimo autore della scritta avrebbe voluto scrivere il ritornello della canzone Where is my mind, celebre canzone dei Pixies che fa da colonna sonora al film Fight club. Peccato che le scarse conoscenze della lingua inglese non gli abbiano giovato, dato che il where è diventato un were. Purtroppo il muro non è una pagina di Word, per cui non si può tornare indietro e aggiungere una H. Ma il nostro compositore non poteva accorgersi di codesta svista, dato che era troppo impegnato nel realizzare ciò che la sua mente immaginava. Appunto. La battuta è troppo scontata, per non dire banale. Caro pittore, ma dov'era la tua testa?

mercoledì 8 agosto 2012

Una fiaccola sul tetto del mondo... e di casa mia


Ogni volta mi lamento per delle settimane della pubblicità continua, dello strapotere di certe emittenti televisive, del giro imponente di soldi che si muove dietro una dannata manifestazione sportiva. Poi, fermo restando che continuo a trovare incredibilmente assurdo che una medaglia d’oro in Italia valga 120 mila euro, mentre in Germania ne vale 15 mila, visto e considerato lo squilibrio economico tra il nostro paese e quello di Madama Angela, che certo non gioca a nostro favore, o che una riga di miliardi ballino intorno ad un paio di scarpette od una cuffia, poi? Va a finire come al solito. Ogni volta passo i giorni precedenti nell’assoluto menefreghismo e poi?

E poi: mi scoppio la cerimonia d’inaugurazione dei giochi fino alle 2 del mattino, perché prima c’è Kenneth Branagh, poi aspetto la Queen che si auto-interpreta di fianco a Daniel Craig e poi dichiara aperti i giochi con la sua regale sintesi, poi la sfilata di tutte le nazioni, due donne per la prima volta per l’Arabia Saudita, ed infine non si può andare a dormire senza aver sentito sir Paul ed aver visto chi sarà l’ultimo tedoforo. (ndr: bella gioventù, ma ‘sti 7 fanciulli sono perfino riusciti ad allungare l’unica parte che è sempre stata veloce nella storia delle cerimonie d’ apertura: l’accensione del braciere).


E poi? Il fioretto, perché vinciamo. Poi il nuoto perché lo amo. Poi i tuffi perché mi ipnotizzano. Poi scopri che l’Italia alla prossima battaglia medievale non avrà rivali: come paese di mare, a nuotatori è un anno nero pece, ma tra chi spara, chi di fioretto colpisce e chi di arco lancia: andiamo fortissimi!
E poi? E poi, signore e signori: inizia la settimana regina. Quella dell’atletica. E sarà che sono figlia di un appassionato vero, o che in fondo mi sono appassionata anch’io. Beh qualunque cosa sia, sto lì, incollata alla tv, a stramaledire la scelta rai di certe riprese o il fatto che su 2000 ore di gare ne siano state comprate solo 200 di cui 50 probabilmente di ciclismo (che personalmente, mi perdoneranno i ciclofili, odio).
Vada come vada: io salto sul posto per una stoccata, urlo “Forza Tania” mentre alza i talloni sull’orlo del trampolino, batto le mani per Bolt e Asafa perché corrono con la stessa naturalezza con cui io mangerei un piatto di pasta, mi agito per i ginnasti che saltano o per la Zarina mentre l’asta si piega o per le ragazze del sincro quando emergono frazioni di secondo per riprender fiato ed esulto per Phelps perché il delfino come lo fa lui è un capolavoro.
Vada come vada, per me, come al solito, hanno già vinto.
Chi? Gli italiani? No. Gli inglesi? No. Allora i Russi o gli Americani o i Cinesi? No e No.
Le Olimpiadi.
Si, le Olimpiadi per l’universalità dello spirito olimpico, per i colori dei loro cinque cerchi, perché nonostante i casi di doping o i problemi, sembrano una parentesi quasi old fashion, quasi romantica dello sport, quasi pulita perché c’è davvero tanta bellezza in una manifestazione così.
Perché anche questa volta sono qui a guardarle.

Citius, altius, fortius!
cvd

lunedì 6 agosto 2012

La guerra dietro casa


11 ottobre 2011 -  Fincantieri
E’ così che va, perché è così che deve andare. Sei lì, che fai la tua marcia quotidiana, verso il tuo quotidiano mucchietto d’impegni, sommersa dalla tua quotidiana dose di pensieri e poi: bum!
La guerra.
Ma non quella delle barricate, dei carri armati, delle bombe più o meno intelligenti. No.
Bum! La guerra quella del lavoro. Per il lavoro. Per la propria casa, il proprio mutuo, la propria famiglia. La guerra di una società che sempre meno e sempre in meno arriva a fine mese e riesce a parlare di futuro. Se quello che descrive almeno uno degli aspetti di una guerra è la preoccupazione e la difesa della propria vita, l’istinto primordiale di autoconservazione, allora sì: questa è una guerra.
Solo che scoppia ad un metro da te. E’ così dannatamente reale che non puoi più far finta d’aver letto e scordato la notizia, o visto e sentito il servizio in TV e poi cambiato canale. No, puoi solo, anzi devi, continuare a camminare, attraversare la tua quotidiana strada, tra una folla di operai dei quali, anche se in silenzio, riesci a sentire la disperazione, lucida e profonda che respiri assieme al fumo nero, quasi corporeo, di due bidoni della spazzatura in fiamme che bruciano in mezzo all’asfalto.
2 agosto 2012 - ILVA
E’ così che va, perché è così che deve andare. Sei lì, che fai la tua marcia quotidiana, verso il tuo quotidiano mucchietto d’impegni, sommersa dalla tua quotidiana dose di pensieri e poi: bum!
La guerra.
E ci risiamo, pensi! Ma sbagli: perché la verità non è che “ci risiamo”. La verità è “ci siamo sempre dentro, non ci siamo mai mossi di lì, stiamo solo continuando a sprofondare”.
Un giorno sono i cantieri, il giorno dopo sono i dipendenti delle mense aziendali, poi i precari della scuola, poi i ragazzi orfani di una prospettiva di lavoro perché vivono in un paese senza crescita, poi sono quelli della centrale del latte, poi 20000 persone  a livello nazionale del settore siderurgico del gruppo Riva.
E poi? Poi toccherà a me, o se mi va di lusso, al mio vicino di casa.
L’aria è tesa, la rabbia palpabile, così pure gli immancabili fumogeni. Tutto tranquillo. Il corteo sfila attraverso la città. Anche questa volta gli abitanti li senti vicini. Chi non cammina affianco a te, ti guarda comunque dalle finestre: in una galleria di sguardi dal preoccupato al solidale. Il sequestro degli stabilimenti per motivi ambientali e sanitari, arrivato proprio in queste settimane, sembra l’ennesima beffa.
Lavoro o salute? Bum!
Ma non è così: i lavoratori che rivendicano il loro posto di lavoro non sono dei masochisti: la domanda è mal posta. Non c’è, ne ci deve essere un aut aut tra due diritti fondamentali, come quello al lavoro e quello alla salute. Le due cose devono coesistere. Dovrebbero coesistere almeno. Da sempre, per giunta.
C’è chi urla. Chi scuote la testa. Tanta gente comune che china il capo e sotto un’afa indescrivibile continua a stazionare nel corteo. Questo paese le gambe ce l’ha. Deve solo creare i modi e gli spazi per farle camminare. Che ci sia bisogno di cambiare, modificare, migliorare le aziende preesistenti, e di crearne di nuove è evidentemente un’esigenza non più rimandabile. Ma la strada dovrebbe essere quella della crescita, dell’apertura. Ed invece ti ritrovi a marciare di fianco a “tagli”, “esuberi”, “esodati”, “cassaintegrati”, “disoccupati”. Sempre di più. Sempre più spesso.
C’è chi dice che urlare non serve a niente. Però se l’unica certezza che hai è quella di non essere ascoltato, che fai? Sussurri?
Nelle piazze, per le strade. Si. Bum!
E’ proprio una guerra. E come tutte le guerra, più che vinti e vincitori, riesci solo a vedere vittime.
(Cvd)