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sabato 30 giugno 2012

Omaggio a Sam Rodia e alle Watts Towers



Vi racconto una storia. La storia di un italiano che ce l'ha fatta. Storia di un uomo dimenticato. Lasciato in disparte, considerato un pazzo. Ma il genio si sposa con l'estro, con un pizzico di follia. E' il matrimonio perfetto. Ecco a voi Sam Rodia, immigrato italiano (1879-1965) che nel tempo libero nell'arco di trent'anni di duro lavoro e senza la minima conoscenza architettonica realizzò le Watts Towers, tre torri di ferro di altezze diverse. L'opera architettonica realizzata nella periferia di Los Angeles, dove l'uomo era emigrato per lavoro, fu realizzata con materiali di scarto: pezzi di ferro decorati con cemento, cocci, ceramiche e conchiglie. Uno spettacolare intreccio di 17 diverse strutture, la piu’ alta delle quali supera i 30 metri. “Perchè le ho costruite? Non so dirlo. Perchè un uomo realizza i pantaloni? Perchè fa delle scarpe?” diceva Rodia. Opera realizzata da un"ingenuo dell'arte". Opera ancora più grande perchè sinonimo di riscatto umano e sociale. Giustamente torri di libertà per alcuni. Torri di sospetti per altri. Durante la seconda guerra mondiale era stata fatta circolar la voce che quelle strane costruzioni nascondessero antenne radio per comunicare con i nemici giapponesi. Omaggio ad un uomo di cui sicuramente avrete visto il volto: Sam Rodia è l'unico italiano ad apparire nella copertina dell'album dei Beatles Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band (1967). La sua foto è in alto a destra in compagnia di Edgar Allan Poe, Fred Astaire, Carl Gustav Jung e Bob Dylan. Ciao Rodia, italiano indimenticato.

Trailer documentario "I Build the Tower" (2006)

venerdì 29 giugno 2012

Italia-Germania, il giorno dopo: "Ciao ciao culona" e "Vaffanmerkel"


Italia-Germania: il giorno dopo. La politica si mescola con il calcio. Il calcio si mescola con l'economia. Il giornalismo si mescola con l'ironia o con il cattivo gusto? Ecco come questa mattina Il Giornale e Libero titolavano l'uscita dagli Europei di calcio della Germania. "Ciao ciao culona" con chiari riferimenti alle intecettazioni in cui Berlusconi dava della "culona inchiavabile" alla Cancelliera e "Vaffanmerkel". Titoli spiritosi o mano troppo pesante? La verità, si dice, sta nel mezzo ma questa volta alcuni quotidiani nostrani sembrano davvero aver esagerato. Al pari dei tabloid tedeschi che puntualmente prima della partita definivano il popolo italico: "furioso, mandrillo ed effemminato". Una battaglia che sembra scadere nel trash, nella gutter press, la cosiddetta "stampa spazzatura". Offese contro luoghi comuni. Esagerazioni contro pregiudizi. Chiaro: non si può giudicare un articolo esclusivamente dal titolo ma la forma e le titolazioni costituiscono il biglietto da visita dell'articolo. Si parla sempre di titoli, non di vignette dove è concesso andare un pochino oltre. Dove i confini con l'ironia e la provocazione sono più labili, meno precisi. Ma si può anche provocare senza offendere. Titoli così gridati da una parte concorreranno ad attirare l'attenzione dell'opinione pubblica ma dall'altra fanno presagire a un contenuto di basso profilo. Intrigante e più consono sembra, invece, il titolo de Il Fatto quotidiano: "Italia 2 - Germania 1, Monti - Merkel zero a zero".

L'occhio vuole la sua parte. Ma certe volte essere bendati non è poi così male.



giovedì 28 giugno 2012

Europei, Germania - Italia: Monti e Merkel sfida ai rigori...nel presepe

Germania - Italia: un classico duello calcistico. Ma non solo. Politico? Sì, ma non solo. Economico? In un certo modo, ma non solo. Germania - Italia: due nazioni a confronto, due stili di vita diversi. Il palcoscenico del match? Nè lo stadio, nè i palazzi che contano. Questa volta si tratta del presepe. Di un presepe. Quello di San Gregorio Armeno curato dal vulcanico Genny di Virgilio. I protagonisti? Mario Monti e Angela Merkel. Per una volta un calcio allo spread. E pazienza se non sarà un cucchiaio. Ma certamente sarà un tiro di rigore. E con rigore. Nonostante  i tabloid tedeschi ci definiscano furiosi, mandrilli o effiminati. Vinca il migliore. Tutto il resto è Neuer.





domenica 24 giugno 2012

Milano. Cronaca di una morte ampiamente annunciata

MILANO. Venerdì notte presso la discoteca "The Beach" è morto un ragazzo di 29 anni. A differenza di tutti i media, ci disinteressiamo della professione della vittima. Il fatto che faccia un lavoro piuttosto di un altro non aumenta il valore della sua morte. Il presunto assassino sarebbe un 27enne, anch'egli nel locale milanese per divertirsi. Anche in questo caso ci scostiamo dalla maggioranza dei mezzi di comunicazione, evitando di emettere una sentenza di condanna. Se è stato lui, siamo certi che pagherà. Senza voler fare spargere semi di un'inutile polemica.
La questione che si vuole mettere in luce è un'altra. La mattina seguente l'Italia, e in particolare Milano, sembra essere caduta dal pero. Molte sono le domande che non hanno trovato risposta. Sui social network, come al solito, si trovano le più divertenti. Ma in generale il web è sempre fonte di ispirazione. Retorica e banalità regnano sovrane. Ci si chiede come si fa a morire mentre ci si diverte, se è il caso di andare ancora a ballare, se il problema è l'utilizzo di droghe ed eccessive quantità di alcol. A questo punto la domanda la poniamo noi: ma dove avete vissuto tutto questo tempo? Ma nessuno si è accorto di cosa è diventata una discoteca in Italia? Non si tratta di droga, di alcol e così via. Il punto è un altro: il modello sociale dominante è improntato sulla violenza.
In Italia il cinema e, soprattutto, la televisione hanno proposto figure di riferimento per i ragazzi eccessivamente aggressive. Il processo è una militarizzazione delle generazioni più giovani, al fine di riuscire a controllarne le azioni e i pensieri. Con il termine militarizzazione si intende anche l'omologazione degli individui: renderli uguali in modo tale da non doversi preoccupare della deviazione da questo modello. Il gruppo adotta autonomamente la prassi di esclusione di coloro che si allontanano dal modello. Il classico "sfigato", per intenderci. Le caratteristiche sono agli occhi di tutti. Il modo di vestirsi è lo stesso. L'atteggiamento nei confronti dell'Altro è sempre scontroso e diffidente. L'unico modo per risolvere le controversie è lo scontro aperto, chi rimane in piedi dimostra la sua supremazia e può continuare a divertirsi. Se l'altro è abbastanza duro non ritornerà subito ad attaccare il nemico, ma riunirà una trentina di persone per la resa dei conti a fine serata, sperando che la compagnia del rivale non sia superiore alla sua in numero. Può apparire una spiegazione in perfetto stile National Geographic, ma molti di voi sanno che si sta illustrando un serata tipica nelle discoteche di Milano. Anche a livello sociologico si potrebbe muovere qualche critica, ma ritengo che questo modello sia abbastanza attendibile. Le discoteche sono diventate il luogo rituale dove consumare la violenza, così da permettere alla società di godere della quiete da essa provocata. In altre parole, ci si ammazza li dentro e fuori si vive tranquilli. Non è così chiaramente.
Detto questo, non si può che apprendere con inquietante freddezza la notizia della morte di un ragazzo in una discoteca del capoluogo lombardo. Stupisce di più il fatto che non muoia una persona a week end, piuttosto. A questo punto qualche domanda sorge spontanea. Siccome le televisioni, i giornali e i media in generale parlano del degrado dei giovani nei locali, perché non chiuderli? Perché i Comuni, le Province, le Regioni o lo Stato non adottano sistemi di emergenza nei confronti di territori di siffatta perdizione? Sbarrate le discoteche e vediamo dove la mandria di animali – perché un individuo che pensa solo al sesso e a "difendere" il proprio territorio e la propria reputazione è evidentemente un animale – in cerca di onore e sangue andranno a sfogare i loro istinti omicidi. Magari sotto il Comune? O andranno direttamente a Montecitorio? A quel punto se ne vedranno delle belle.

martedì 19 giugno 2012

Il petrolio nel delta del Niger: Eni, Shell, Total a che gioco giochiamo?


“La responsabilità ambientale costituisce uno dei pilastri fondamentali dell'agire sostenibile ed è strettamente connessa alla capacità di un'impresa di creare valore. La richiesta di valutazione, controllo e mitigazione degli impatti sull'ambiente si estende a tutto il ciclo di vita delle attività e dei prodotti oltre che a fornitori e clienti. L'approccio Eni comprende la valutazione dell'impatto ambientale e sociale delle attività, effettuato attuando il massimo coinvolgimento degli stakeholder locali”. A parlare è proprio l'Eni, multinazionale del petrolio, che si è fatta bella ai nostri occhi con pubblicità che richiamano valori puri ed eticamente ineccepibili. Brava Eni.
 
 

Belle parole davvero. Toccanti, profonde, piene di sensibilità. Innovazione è una parola per immaginare il futuro. Quale futuro? Collaborazione è una parola per crescere insieme. A quale costo? Cultura è una parola da condividere. Che merita rispetto. Insomma una presa in giro. Bella e buona. Non è una novità. Nel delta del Niger da molti anni l'Eni ha contribuito a inquinare l'ambiente circostante danneggiando irrimediabilmente la pesca, l'agricoltura, le foreste di mangrovie. Oltre all'aria irrespirabile dovuta al gas flering che rende impossibile la vita della popolazione che continua a morire a causa delle attività estrattive con la connivenza di miliziani e politicanti corrotti. Dulcis in fundo le ultime fuoriuscite di petrolio provocate dalla corrosione degli oleodotti, dalla scarsa manutenzione delle infrastrutture, da errori umani o da deliberati atti di vandalismo e furti di petrolio. Un business senza fine, quello di Eni, Total e Shell che non ha minimamente migliorato le condizioni degli abitanti del delta del Niger che continuano, così, a rappresentare una delle aree più povere del Pianeta. Inoltre vengono privati, senza possibilità di scelta, di condizioni accettabili di lavoro e di vita. Non esistono diritti umani qui. Non è possibile la vita. E' accettata solo la distruzione a qualsiasi costo. Ambientale e sociale. Senza scrupolo, senza coscienza. La dignità non esiste. Non deve esistere. Grazie Eni, Shell, Total. Ora però dovete delle risposte. Amnesty International ha fatto delle domande ben precise ai gruppi petroliferi e in particolare alla Shell. C'è stato un botta e risposta che ha avuto come unico risultato il fatto di perdere ulteriore tempo.  Davide contro Golia, forse. Ma a noi piace credere nelle favole.

 
 
Per saperne di più sul botta e risposta Amnesty International-Shell:

http://www.iopretendodignita.it/sites/default/files/userfiles/file/att/Risposta%20shell%20ad%20AI.pdf
http://www.iopretendodignita.it/sites/default/files/userfiles/file/att/risposta%20AI%20a%20Shell.pdf

lunedì 18 giugno 2012

È giusto guardare gli Europei? Chiedetelo ai Simpson


Come è ben noto, in Italia non si perde occasione per schierarsi su fronti opposti. Troviamo questa tendenza sia sul fronte politico, berlusconiani o antiberlusconiani, sia sul piano storico, fascista o partigiano, sia su un piano meramente culinario, pro o contro la pizza. Possiamo stilare un lungo elenco di queste contrapposizioni tipicamente nostrane. Ma, forse, un tema su tutti anima i cuori degli italiani: il calcio.
Nell'ultimo periodo il calcio ha dovuto affrontare sfide insidiose, arrivate sia dall'interno, basti pensare al caso “calcio scommesse”, sia dall'esterno. Una di queste è quella che ha coinvolto l'Ucraina, paese ospitante, insieme alla Polonia, degli Europei 2012. Secondo le fonti ufficiali e non, ci sarebbe stato un massacro di cani randagi nelle città che avrebbero visto affrontarsi le migliori nazionali d'Europa. Il fine era di rendere più sicuri paesi in vista della grande affluenza di tifosi da ogni angolo del Vecchio Continente. Kiev non ha mai rilasciato dichiarazioni interessanti a riguardo, soprattutto non ha mai smentito. Ma dalle immagini e dai video diffusi in rete, tutti i dubbi sembrano dissiparsi.
I media italiani, conoscendo il grande interesse della popolazione su temi riguardanti i “nostri amici a quattro zampe” - è degli ultimi giorni il lancio della rubrica Tg bau e miao (ogni commento ulteriore sarebbe superfluo) del Tg5 -, hanno coperto una buona parte dei loro palinsesti, approfondendo il tema. Ma l'indignazione vera è scoppiata sui social network. Qui torniamo al collegamento con gli Europei di calcio. Infatti uno degli appelli più gettonati in rete era: “Boicottiamo gli Europei: non guardiamo le partite per vendicare i cani uccisi”. Ora, parliamoci chiaro. Chi vuole “boicottare” i match non li avrebbe visti comunque. Appartiene allo schieramento di coloro che odiano il calcio. Questa è semplicemente una giustificazione in più. Non si mette in dubbio l'interessamento dei boicottatori per la vita degli animali, ma non è necessariamente maggiore di coloro che guardano le partite e si divertono nel farlo.
È la solita propensione che accompagna molti individui: il conformismo dell'anticonformismo. Si afferma di non appartenere alla tendenza dominante per associarsi, in ugual misura, ad un'altra sempre dominante, ma di peso minore. Questo fenomeno si vede in molti aspetti della vita quotidiana: non vado da McDonald's ma bevo litri di Coca Cola; odio le discoteche ma frequento solo centri sociali; disprezzo lo smartphone ma compro un computer da 1500 euro; e così via. Non è necessario rendere pubblica la propria vita. Non è indispensabile spettacolarizzare il proprio modo di pensare. Quello che si nota – e spero di non essere troppo assolutista – è che certe adesioni a “iniziative” inutili e stupide, è che si tenta di avvalorare le proprie ipotesi aggiungendo elementi presi qua e là, così da rendere maggiormente motivato il proprio comportamento. Se non si vuole vedere una partita di calcio, non la si guarda, ma non si pretende che tutto il mondo non si goda lo spettacolo. A questo proposito, per i più testardi, consiglio di guardare una puntata dei Simpson, “Lisa la vegetariana”. Certi insegnamenti di vita si possono imparare anche da piccoli canali di comunicazione, come i cartoni animati.

PS Ma tutta questa indignazione dov'era mentre venivano sterminate centinaia di persone in Siria, tra cui tanti bambini? Forse la vita degli animali vale di più rispetto a quella degli esseri umani? Io non credo.

venerdì 15 giugno 2012

Al Suq di Genova non solo cibo e vestiti. Una possibilità per conoscere


GENOVA. È stata inaugurata il 13 giugno la quattordicesima edizione del Suq. La postazione è la struttura di Renzo Piano presso il Porto Antico, che d'inverno ospita la pista di pattinaggio e d'estate una discoteca. Carta di identi-libertà era presente all'evento e, essendo tra i primi cento visitatori della struttura, ha ricevuto un omaggio. Si tratta di un Eco-kit contenente alcune importanti indicazioni sulla necessità di effettuare la raccolta differenziata e gadget vari. Apprezziamo, ringraziamo e ci congratuliamo per l'iniziativa.
Il Festival è da vivere più che da descrivere. Le sensazioni sono strane e piacevoli. Sembra di venire immersi in un mondo parallelo. Passiamo sotto una tenda africana, osserviamo borse e vestiti di uno stand sudamericano, e veniamo accolti da profumi a noi ignoti. Tante nazionalità, tante culture, tante religioni e tanti sorrisi.
Ce n'è per tutti i gusti. Infatti all'interno del Suq si possono trovare sia abiti e accessori, ma anche cibi e bevande tipiche. La quantità di persone accorse all'apertura del Festival è stata davvero impressionante. Abbiamo provato a fare qualche domanda ai proprietari dei banchetti, ma erano indaffarati con i clienti accorsi in numerosi. Ma nei pressi di uno stand senegalese incontriamo Oumar, che ha voglia di fare quattro chiacchiere con noi. «È una grande esperienza, lo faccio da tre anni». Ci parla anche di un altro festival che si svolge a Comacchio, a cui parteciperà. «Non siamo più nel 1800 – prosegue Oumar –, siamo nel 2012 e dobbiamo costruire un nuovo mondo». Non perde mai il sorriso, eccetto quando gli domando se fosse possibile un'iniziativa di questo tipo a livello nazionale. La sua risposta è stata uno sguardo, la tipica espressione di chi vuole dire “Ma dove vivi?”. Prima di lasciarci abbiamo anche parlato di calcio, essendo tifosi di due squadre rivali. Forse è anche questo il Suq. Non importa di che cosa si parli: viene data l'opportunità di discutere ed esprimere idee e pensieri con altre persone. Questo non solo permette di annullare le differenze. Molto di più. Ci permettere di cogliere ciò che abbiamo in comune con l'altro. E solo allora noteremo che siamo più simili di quanto ci aspettassimo.

giovedì 7 giugno 2012

Alfonso Papa e i 944 ladroni


Il lupo perde il pelo ma non il vizio. I proverbi italiani difficilmente sbagliano. Questo vale a maggior ragione quando si parla di politica. Con il consenso dei nostri nonni, si potrebbe azzardare una leggera modifica al noto detto popolare: il parlamento cambia il governo ma non il vizio. Mentre le casse dello Stato si svuotano – nonostante l'aumento delle tasse –, i tecnici "sistemano" il paese e le famiglie piangono, i politicanti proseguono con l'unica cosa che sono in grado di fare: pararsi il culo a vicenda. Il 6 giugno il Senato ha bloccato l'arresto di Sergio De Gregorio, con 169 voti a favore contro 109. Nonostante il Pd, l'Udc e la Lega si fossero dichiarati favorevoli all'arresto, qualcuno, in perfetto stile italiano, ha deciso di disertare e di offrire uno scudo al senatore del Pdl. I soliti franchi tiratori, protetti dallo scrutinio segreto richiesto dai senatori pidiellini.
Non si vuole entrare nel merito della fondatezza delle accuse poste a carico di De Gregorio. Ma la legge è uguale per tutti: se a un comune cittadino vengono imposti gli arresti domiciliari, nulla può fermare il braccio armato dello Stato. Ma se si entra negli oscuri corridoi di Montecitorio o di Palazzo Madama allora tutto cambia. Le accuse, le denunce e le richieste di arresto sembrano sciogliersi come neve al sole. Non fanno neanche in tempo a varcare le porte dell'aula, che si polverizzano in una nube di ipocrisia e vergogna. In un prossimo articolo proveremo a spiegare questi sentimenti ignoti ai nostri politicanti.
Il buon De Gregorio è solo l'ultimo di una lunga lista. Sono molti gli onorevoli che tengono la loro poltrona bella calda, dopo essere sfuggiti alle grinfie della giustizia grazie all'aiuto dei loro soci. Nicola Cosentino è forse il più famoso – per alcuni famigerato – di questo elenco dei graziati. L'accusa dei pm di Napoli di riciclaggio e corruzione, con l'aggravante del metodo mafioso, non è bastato alla casta per giudicarlo colpevole. Per non farci odiare dai berluscones, citiamo anche il senatore ex Pd Alberto Tedesco, indagato nell'ambito di una delle inchieste della sanità in Puglia e prontamente salvato dai compagni di merende. Ma in questo scenario da sogno per i politicanti italiani, dobbiamo citare il nome dell'unico "sfigato" che è stato mandato in gattabuia: Alfonso Papa, coinvolto nell'inchiesta sulla P4. Il giorno dopo l'arresto, all'entrata della Camera dei Deputati hanno attaccato un quadretto del martire che si è sacrificato affinché altri 944 ladroni si salvassero. Un eroe. A morte i giudici – per par condicio – catto-fascio-comunisti!
Per la prima volta mi sento in dovere di lanciare un appello: togliamo subito l'immunità parlamentare. Non importa se anche altri paesi adottano tale protezione. Ogni sistema funziona in maniera differente e il nostro è chiaramente deviato. Siamo ancora intrisi di tradizioni politiche più vecchie della Repubblica stessa, come il clientelismo e il trasformismo. Inoltre la nostra classe politica è veramente deprimente, ma allo stesso tempo sghignazzante all'idea che qualsiasi reato commettano, nessun organo potrà punirli. Politici con una fedina penale pulita, come Grillo urla a ogni suo convegno, sono una conseguenza della loro effettiva punibilità, anche dopo eletti. Se proprio dobbiamo buttare le mele marce, dobbiamo anche essere in grado di strapparle dall'albero.

martedì 5 giugno 2012

Subbuteo: un altro calcio è possibile

A volte ritornano. Quando meno te lo aspetti. Sport e giochi da tavolo che negli anni Settanta e Ottanta avevano fatto impazzire milioni di bambini e ragazzi in tutto il mondo e che improvvisamente si dissolvono grazie all'arrivo dei videogiochi e del loro realismo estremo. Questo, almeno in parte, è stato il caso del Subbuteo. Il calcio si sa, è il gioco più bello del mondo. E per intere generazioni il Subbuteo è stato il gioco più bello del calcio. Il fascino di riuscire a simulare davvero una partita di calcio su un tappeto verde con due squadre in miniatura è un'emozione che vive ancora incurante degli anni che passano e ingrigiscono i capelli di quei bambini di un tempo diventati adulti. Indescrivibile il divertimento provato nello sfidare amici, figli, colleghi schierando su quel campo in cotone la propria squadra del cuore e facendo ondeggiare i propri beniamini fino alla conquista del pallone. Fino alla vittoria. Ore intere di gioco. Interminabili ma veloci nello stesso tempo. Cariche di adrenalina, tensione, sogni. Dove la fantasia sul campo di gioco era la sposa perfetta di regole ben definite prese a prestito proprio dal calcio.



Subbuteopia (di cui potete vedere il teaser)
Basta parlare al passato. Il Subbuteo vive una seconda giovinezza. Pur non dimenticando il romanticismo e la gelosia dei ricordi del passato. Ma il Subbuteo è tornato. La subbuteomania è nuovamente rifiorita. In tutta la sua bellezza. Subbuteopia, il documentario presentato poche settimane fa in anteprima a Genova, ne è un esempio. Realizzato grazie alla tecnica del crowdfunding dove la tecnologia si unisce con il vintage. Realizzato grazie al contributo economico ma soprattutto grazie alla passione di chi ha voluto rendere omaggio al Subbuteo. Di chi ogni giorno nei forum (http://oldsubbuteo.forumfree.it/) e nei garage fa risplendere gli antichi fasti di un gioco mai dimenticato. Di chi conserva con orgoglio lo stadio costruito per le mille battaglie sul campo. Di chi oggi gioca con i propri figli.
Caro Subbuteo il nostro non è un addio. E' un arrivederci, un "a presto" alla prossima partita. Dove l'obiettivo deve essere il sorriso. L'aggregazione. Poi la vittoria. Sempre e rigorosamente in punta di dito.


Alcune curiosità
Il Subbuteo è un mondo dove tutto è possibile. Sono stati messi in commercio a partire dagli anni '70 e '80 miniature di barellieri, fotografi, poliziotti, cameramen televisivi, allenatori oltre ad accessori come tribune, curve, panchine, tabelloni, staccionata bordocampo. Esistono anche un set dove è presente la regina Elisabetta che consegna la coppa oltre a una curiosa e rara riproduzione dei Beatles. Tra i fan del Subbuteo compaiono Gianluigi Buffon e Renato Brunetta. Ve la immaginate una sfida tra i due. Chi la spunterà? Sono aperte le scommesse. Anzi no. Perché questa è tutta un'altra storia.

domenica 3 giugno 2012

Italia uccisa o accisa? Ma a Marchionne venne un'idea...

Inizia con la lettera b ma una volta tanto non si parla di Berlusconi. L'argomento odierno è la benzina. Sempre più cara, sempre più discusso il suo costo. C'è da indignarsi ve lo dico subito. La vergogna consiste nel fatto che la benzina potrebbe costare meno della metà. Né più né meno. Dovrebbe costare la metà. Il vero scandalo della questione è rappresentato dalle accise che uccidono le tasche, peraltro già svuotate, degli italiani. Accise talvolta oscure, mascherate ma il mandante di questa vergogna all'italiana presenta una fisionomia ben definita. Ecco a voi lo Stato. Inchino. Ecco a voi i diversi governi che si sono succeduti ma che hanno riportato i vizi del precedente. Chapeau. Ma facciamo ordine. Il prezzo complessivo è composto da varie voci: costo del prodotto raffinato, diverse fasi di trasporto, costo di stoccaggio, spese sostenute dai punti vendita, margini dei gestori. Ma queste quote non superano il 30% del prodotto finale. Quasi tutta la parte restante, signori e signore, è composta dalle accise e dall'Iva relativa. Le origini delle accise risalgono a oltre 70 fa per volere di Mussolini. Ecco a voi l'elenco di balzelli per ogni litro di benzina:
  • Guerra in Abissinia del 1935 (1,90 lire)
  • La crisi di Suez del 1956 (14 lire)
  • Il disastro del Vajont del 1963 (10 lire)
  • Alluvione di Firenze del 1966 (10 lire)
  • Terremoto del Belice del 1968 (10 lire)
  • Terremoto del Friuli del 1976 (99 lire)
  • Terremoto in Irpinia del 1980 (75 lire)
  • Missione in Libano del 1983 (205 lire)
  • Missione in Bosnia del 1996 (22 lire)
  • Rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri del 2004 (0,020 euro, ossia 39 lire)
  • Decreto Legge 34/11 per il finanziamento della manutenzione e la conservazione dei beni culturali, di enti ed istituzioni culturali (0,0073 Euro)
  • 0,040 Euro per far fronte all'emergenza immigrati dovuta alla crisi libica del 2011, ai sensi della Legge 225/92
  • 0,0089 per far fronte all'alluvione in Liguria ed in Toscana del novembre 2011
  • 0,112 Euro sul diesel e 0,082 Euro per la benzina in seguito al Decreto Legge 6 dicembre 2011 n. 201 «Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici» del governo Monti
  • 0,02 Euro per la copertura degli interventi di aiuto per il terremoto che ha colpito l'Emilia
E io pago. Come diceva Totò. Pago, forse, anche giustamente per le ultime calamità naturali occorse in Italia (recente sisma e alluvioni) ma pago ancora per la guerra in Abissina e per il disastro del Vajont. Paradossale. Sconcertante. Urticante. E lo Stato tace. Sta zitto, in silenzio. Quando le cose sono scomode è meglio sotterrarle. Inoltre due pesi e due misure. Da quanto si apprende per l'alluvione che ha colpito nel 2011 la Liguria e la Toscana, le accise e il conseguente caro benzina sono rimaste circoscritte solamente all'interno delle due regioni mentre per il sisma che ha devastato l'Emilia ne risponde tutta l'Italia. Forse i morti hanno peso diverso? Forse l'Emila è più simpatica della Toscana e della Liguria. Forse è uno scandalo. Togliete il forse. Togliete anche la parola scandalo. E' una vergogna. Senza se e senza ma. E al caro Marchionne venne un'idea: proporre di bloccare il prezzo della benzina fino al 2015 a un euro al litro. Un'idea saggia. Una volta tanto. Avrà proposto allo Stato in nome di libero cittadino e in tutela dell'azienda e del calo vendite di automobili di togliere le accise preistoriche? No. Ha semplicemente assicurato tale prezzo, con benestare dell'Ip, a chi vorrà acquistare una nuova Fiat. Anche questo è made in Italy. Propongo anche un nuovo modello di Fiat: l'Addis Abeba. D'altronde il vintage è tornato di moda.


venerdì 1 giugno 2012

Italiani brava gente. Auguri Italia


La parata si farà. Low cost ma si farà. La fumata bianca c'è stata e ha decretato l'irrinunciabilità dei festeggiamenti condiderati sacri. Si passerà il 2 giugno con i carrarmati, non con i terremotati.  Si sfilerà, non si spalerà. Ma il tutto, come detto, con estrema sobrietà. Secondo i dati della Difesa il costo complessivo della parata si dovrebbe aggirare sui 3 milioni di euro. Bazzecole. Cifra irrisoria in tempi di recessione economica. E i terremotati ringraziano. Ma lo scandalo non è dettato solo dal risvolto economico. Non si parla di sospendere una tradizionale parata esclusivamente per i suoi esorbitanti costi. Seppur questi siano meno elevati rispetto allo scorso anno. Si parla di trasferire il senso di repubblica, di solidarietà e di unione nazionale abbracciando coloro che sono stati sconvolti dal recente terremoto. Un abbraccio che non sia virtuale. Un abbraccio fisico, stringendosi vicino e presenziando in Emilia. Perché in fondo è proprio questo lo spirito che dovrebbe contrassegnare la tradizionale festa del due giugno. Non un passerella, un palco, un'esibizione. Piuttosto un gesto semplice, puro, naturale. Ma di grande pregnanza simbolica. Un'occasione persa. Per sentirsi tutti un po' più italiani. Perché in fondo noi italiani siamo così: un popolo che non ha una vera e propria coscienza nazionale ma che sa stringersi intorno nei momenti di difficoltà. Dalla merda nascono i fiori diceva de Andrè. Forse un'espressione troppo forte, non completamente aderente alla realtà dei fatti che ci contraddistingue. Ma che rende a perfezione l'idea di un'altra Italia possibile e in parte già esistente. Un paese laborioso e solidale. Un Italia dove, nei momenti di maggiore sofferenza e criticità, non si guarda esclusivamente al proprio orticello ma si aiuta anche il proprio vicino. Un'altra Italia in cui si esce dal proprio guscio e ci si mette in gioco, a disposizione degli altri. E per una volta senza interessi, senza doppi fini. Perché la Repubblica è fatta di uomini. Perché la Repubblica siamo noi. Napolitano ha ragione: occorre dare un segno di vitalità, di unità, di serenità e fiducia. Il messaggio è giusto. E l'applicazione concreta del concetto, il “come”, a vacillare. Ma, forse, non è neanche giusto dire che esistono “diverse Italia”. L'Italia è una sola, con le sue paure, con le sue contraddizioni ma anche con la sua voglia di rinascita, di vedere in fondo al tunnel nuovamente la luce. E poi è la festa prima della nazione, poi dello Stato. E' la festa di tutti noi che, se ci pensiamo bene, siamo, almeno un pizzico, orgogliosi di essere italiani. Nonostante tutto, nonostante tutti. Viva l'Italia.